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I frati benedettini al seguito della Prima Crociata lanciata nel 1095 in Terra Santa, carpirono il segreto della distillazione dal popolo arabo con la conquista di Gerusalemme, avvenuta nel 1099.

Sicuramente all’interno delle sue mura erano custoditi degli alambicchi che furono osservati e studiati con attenzione.
Ma questa non è l’unica ipotesi…


L’alambicco potrebbe essere stato conosciuto in Europa, precedentemente a tale data , quando El Cid eroe nazionale spagnolo, autore della Reconquista della Spagna, sotto il dominio degli Arabi, liberò Toledo nel 1085.  Sicuramente fra le mura della fortezza espugnata vi dovevano essere degli alambicchi, ma a noi non sono state tramandate notizie circa il loro utilizzo, pertanto dobbiamo pensare che il bottino di guerra non suscitò particolare interesse nelle truppe cristiane spagnole.

 

Se le cronache dell’epoca non sono dettagliate circa la scoperta degli alambicchi, da una attenta analisi legata alla nascita dei primi distillati europei, notiamo che alcuni secoli più tardi, a cavallo dei Pirenei, nell’area corrispondente all’Aquitania francese e all’Aragona spagnola, l’ultimo baluardo cristiano in Spagna, da cui partì la Reconquista, si hanno le prime notizie dell’ Armagnac.

Questo distillato di vino, prodotto nelle abbazie dell’area collinare, è a tutti gli effetti il primo prodotto degli alambicchi europei.

Siamo quindi di fronte al possibile utilizzo di quel bottino di guerra, opportunamente modificato per la produzione del pregiato distillato di vino, che aiutò centinaia di pellegrini, alleviando le loro fatiche sulla via del cammino di Santiago de Compostela.

 

Una terza ipotesi, non priva di fondamento, afferma che l’alambicco fosse in Europa e precisamente in Irlanda, già nel 600 d.C., portato da San Patrizio, di ritorno da un suo pellegrinaggio in Terra Santa, il quale diede impulso alla produzione di un distillato che comunque non possiamo classificare ancora come whisky.

 

Siamo certi della sua esistenza perchè viene menzionata più volte dalle truppe di invasione inglesi, nel 1172.

Gli Inglesi catturarono alcune botti di un liquodo misterioso, dal forte sapore, bevuto dagli irlandesi in grossa quantità. Affermano di averlo assaggiato a loro volta e lo descrivono come corroborante e calorico, in grado di alleviare la fatica e di dare un coraggio inaspettato in combattimento. Il problema è che non riescono a saperne molto circa il nome, la provenienza della materia prima utilizzata e che non vi sono testimonianze scritte.


Il fatto che nel proseguo della storia della distillazione il nome maggiormente utilizzato per definirne il prodotto irlandese sia “Acquavitae”, ovvero “Acqua di vita”, derivante dalla traduzione dal gaelico di “Uisce Beatha”, avvalora tale ipotesi.


La contrazione inglese lo tramanderà con il termine “whisky” e definirà il secondo distillato conosciuto della storia umana.


Rimane un merito di rilevanza storica legato a San Patrizio, (nella foto di destra la Rocca di Cashel da dove egli partì per il suo pellegrinaggio) infatti egli riveste un ruolo molto importante nella diffusione delle bevande fermentate, in tutta Europa, noi italiani per primi, dobbiamo a lui l’introduzione del sapere brassicolo nel nostro paese.
I pellegrinaggi che il Santo e i suoi confratelli, fra cui San Colombano intrapresero per evangelizzare l’Europa, contribuirono a diffondere il sapere inerente alla fabbricazione della birra, quest’ultimo giunse in Italia, dopo un lungo pellegrinaggio e qui vi fondò il suo monastero sui Colli Piacentini, nelle vicinanze di Bobbio e qui produsse la prima birra italiana della storia, nel 614 d.C..


Tornando alla distillazione la prima ipotesi sembra essere la più plausibile, ma nulla vieta di pensare che tutte e tre le teorie siano giuste, avvalorando il fenomeno della contemporainetà delle idee, che ha visto molti casi nella storia.

Gli alambicchi arrivarono tramite nave alla rinomata Scuola di Salerno, fondata nel IX secolo, il cui massimo splendore corrispose proprio con la conquista di Gerusalemme, ovvero quando tutto il sapere del mondo arabo e greco fu disponibile per essere tradotto ed elaborato dai suoi adepti.

Tutto il sapere della farmacopea, dell’alchimia, dell’erboristeria araba e le traduzione arabe di testi greci che si credevano perduti, trasformarono questa Scuola, nel centro di sapere maggiore di tutto il Medioevo.

Si fecero propri i fondamenti dell’alchimia araba in cui esisteva la convinzione che ogni metallo avrebbe potuto, attraverso una serie di passaggi e rigenerazioni, trasformarsi dalla forma grezza a quella più nobile.

I cambiamenti lo avrebbero via via purificato ed alla fine  lo avrebbero portato a trasformarsi in oro, metallo puro per eccellenza, alla stessa maniera , l’uomo avrebbe dovuto seguire questo processo , trasformandosi in un individuo puro fatto di sapere assoluto.

Gli alchimisti europei , per nulla scoraggiati dagli insuccessi arabi si lanciarono nuovamente alla ricerca della Quintessenza e della Pietra Filosofale che tutto avrebbe trasformato in oro.

Come i loro predecessori, utilizzarono gli alambicchi per cercare di estrarre l’essenza della Natura, distillando i suoi prodotti, erbe radici, minerali con risultati alterni, fino a giungere alla conclusione di utilizzare il  vino e la birra per ottenere un prodotto trasparente e privo di impurità, l’alcol, una sorta di quintessenza, che avrebbe risolto il problema degli eccessi produttivi di questi due fermentati, che con l’arrivo dei primi caldi si trasformavano in aceto.

 

Il pensiero alchemico anche se ridimensionato nei fini iniziali, segnò un successo importante per la storia dell’uomo:  aria, terra, acqua e fuoco avevano liberato dai frutti della Terra, un vapore impalpabile che una volta condensato dava un liquido trasparente che dava benessere ed euforia.

Probabilmente negli intenti c’era la volontà di utilizzare questa essenza per purificare a sua volta pietre e metalli impuri, destinazione che  fu ovviamente vana, ma che ebbe svariate altre applicazioni, da disinfettante e antibatterico a coadiuvante nell’enologia per la creazione, dei primi vini fortificati che grazie all’addizione di alcol non diventavano più aceto con l’arrivo dei primi caldi.

 

I primi vini fortificati furono creati nel 1300, grazie ad una felice intuizione di Arnaldo da Villanova, un alchimista di origine catalana, docente universitario a Montpellier, che ebbe l’idea di addizionare alcol ai Moscati di Rivesaltes e Frontignan.

Queste due eccellenze enologiche saranno utilizzate come vini da messa e troveranno posto sulle mense di corte di tutta Europa, essendo diventato possibile il loro trasporto per lunghi tratti, anche in presenza di un clima caldo.
In Italia durante il primo Giubileo del 1300 voluto da papa Bonifacio VIII, Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo discussero degli effetti miracolosi di un elisir elaborato da loro stessi.

Questo elisir fu elaborato per curare il papa da una fortissima colica renale che lo colpì poco prima dell’inizio del Giubileo da lui indetto.

Bonifacio VIII si distinse per i costumi poco morigerati e per la fame insaziabile, tant’è che si narra che il suo pasto fosse composto come minimo da 6 portate.

Le sue abitudini e le sue spese al di sopra delle possibilità, ridussero al minimo le finanze della sua famiglia, tant’è che ebbe l’idea del Giubileo, il primo della storia.

Per questa ragione Dante lo posiziona nel canto XiX dell’Inferno, dove sono puniti i Simoniaci, ovvero i colpevoli di comprare con il denaro le cariche spirituali. In realtà papa Bonifacio VIII non è ancora morto al tempo della stesura, ma Dante lo vedeva come un personaggio responsabile dei mali e del malcostume di allora.

Recandosi a Roma in penitenza ed elargendo una somma commisurata ai peccati commessi, si avrebbe avuto l’anima salva.

Il Giubileo fu salvo ed ebbe grandissima risonanza nel mondo cattolico, visto il grande afflusso di pellegrini.

Allo stesso tempo il successo di questo rimedio, direttamente derivato dalla distillazione e dall’infusione di erbe, diede fama mondiale agli inventori di questa nuova disciplina e ai loro risultati, ma sopratutto gli evitò l’Inquisizione e l’accusa di stregoneria.

La storia narra che questo infuso contenesse delle scaglie d’oro, metallo puro per eccellenza a cui si attribuivano doti purificanti.

Successivamente, e nei secoli seguenti, in onore di questo elisir, molti liquoristi coloreranno di giallo oro, utilizzando lo zafferano, spezia pregiata e costosa, i loro prodotti.

 

Dopo di loro Bacone “Doctor Mirabilis”, l’Alari, Paracelso ed altri ebbero a discutere delle capacità terapeutiche del distillato e dei vini fortificati con alcol ed infusioni di erbe.


L’alcool era considerato una bevanda magica, se bevuto in grandi quantità il male e la lascivia s’impossessavano del bevitore, ma bevuto in piccole e sapienti dosi dava coraggio, vigore, leniva il dolore e dava calore. Per secoli la somministrazione di bevande alcoliche da parte di medici o derivanti della farmacopea famigliare e casalinga, rimarrà l’unico rimedio conosciuto per curare ogni malattia, dalla peste alla malaria.

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